Ho visto cose che voi umani …
Tra i mille modi e applicazioni in cui si può utilizzare l’intelligenza artificiale (IA): shopping in rete e pubblicità, ricerche online, assistenti digitali personali, traduzione automatica, case, città e infrastrutture intelligenti, cyber security, lotta alle fake news, salute, lavoro, filiere agricole, c’è anche una possibilità, ancora tutta da esplorare: quella di fare arte.
Il 23 ottobre 2018 nasce la cosiddetta IA Art.
In questa data la casa d’aste Christie’s ha battuto per la prima volta, per 432.500 dollari, un’opera intitolata Edmond de Belamy che ritrae un gentiluomo francese vestito di nero, la cui paternità appartiene a un algoritmo.
La lunga firma dell’autore, non umano, infatti è un’eloquente formula algebrica.
Anche se dietro il quadro, come è intuibile, si cela un gruppo di lavoro formato da Hugo Caselles-Dupré, Pierre Fautrel e Gauthier Vernier – membri del collettivo francese Obvious.
Ora in rete si trovano strumenti sempre più sofisticati ma non ancora disponibili al grande pubblico, caratterizzati da un fotorealismo senza precedenti basati sulla logica che un determinato testo si può trasformare in immagine (text-to-image).
Mirco Tangherlini con la mostra «Ho visto cose che voi umani», riaccende l’interesse e il dibattito etico, estetico e se vogliamo metafisico, sul senso e le potenzialità incontrollate e inimmaginabili di questa forma d’arte in cui l’Intelligenza Artificiale sembra apparentemente muoversi con inquietante autonomia.
L’arte, sin dai tempi delle pitture rupestri, aveva la funzione simbolica e rituale di ricordare all’uomo la propria connessione con il divino. Oggi non è più in grado di rispondere alla sua funzione principale di finestra verso l’interiorità e lo spirito.
Nel migliore dei casi è diventata «fruizione», intrattenimento o, peggio ancora, consumo e business. L’uomo sembra aver perso il rapporto con il proprio centro.
L’arte è o dovrebbe essere sempre un atto rivoluzionario, capace, con i suoi bagliori, di aprire spiragli e preparare risvegli rompendo regole, scardinando dogmi, liturgie e conoscenze razionali.
Solo l’originalità assoluta dell’opera, la sua potenza misteriosa è in grado di aprire l’agognato varco in grado di farci entrare in contatto con dimensioni sottili e forze spirituali.
Quasi sempre l’artista non ha consapevolezza del lavoro compiuto. Dell’effetto. A meno che non creda realmente e narcisisticamente di essere lui la «Causa», il vero Creatore.
Qui si affaccia il nucleo tematico della mostra: come dobbiamo considerare, oggi, l’arte generata utilizzando uno strumento tecnologico come l’Intelligenza Artificiale? Ancora: è in grado questo nuovo mezzo di restare strumento o rischia di prendere il soppravvento sulla centralità della persona?
O di scardinare le basi dell’etica. Ammesso che noi umani con i nostri orrori, le nostre nefandezze belliche e la forza distruttiva antiumana e antiecologica del nostro nichilismo, possiamo ancora considerarci al centro della dignità e dell’eccellenza della Creazione, per dirla con Pico della Mirandola.
Già nel 2002 Mirco Tangherlini ha realizzato un’esposizione dal titolo «Simmetrie» in cui venivano messe in mostra delle tele (elemento che in qualche modo si legava alla tradizione) su cui aveva fatto stampare, in digitale, opere realizzate utilizzando grafica 3D e rielaborate utilizzando Photoshop.
Allora in molti disquisivano, a volte senza competenza, sul fatto che si potesse definire arte ciò che era il «semplice» risultato di un processo «virtuale» in cui nessuna mano impugnava un pennello e nessun monitor avrebbe potuto avere la matericità di una tela.
Oggi, 20 anni dopo,con l’evoluzione e il perfezionamento dell’Intelligenza Artificiale l’asticella si è ulteriormente spostata in avanti.
La nuova mostra «Ho visto cose che voi umani» può di nuovo diventare motivo di discussione, analisi, elaborazione culturale ed allargamento di coscienza.
Le opere in oggetto non hanno richiesto, da parte dell’autore, capacità pittoriche particolari, Tangherlini non ha utilizzato un software che simula le pennellate o una tela digitale per rendere iperrealista ogni tratto.
Ogni immagine è frutto di una richiesta scritta, un messaggio in bottiglia destinato ad un sistema IA che «raccoglie» dati dalla rete, li rielabora e li compone fino a soddisfare la richiesta ma fornendo in sovrappiù, una «propria» sorprendente visione.
A questo punto la domanda che potremmo porci è: stiamo ancora parlando di arte.
Sono in grado queste immagini di aprire il varco spirituale di cui abbiamo accennato precedentemente?
Ma soprattutto: chi è l’Artista, l’Autore?
Forse la domanda è sostanzialmente inutile.
Nel passaggio dalla pietra al foglio, fino all’elettrone e agli algoritmi, l’autore è sempre Dio, la scintilla di Intelligenza cosmica racchiusa in noi. In una scala che parte dal denso, (la materia) per toccare piani più sottili della manifestazione (l’energia, gli elettroni).
Per la tradizione Indù la creazione è «Lila», gioco di Dio. La realtà, anche quella apparentemente solida e incrollabile, è pura illusione.
La realtà, come svela Don Juan a Castaneda dopo avergli fatto sperimentare stati di destrutturazione della realtà attraverso l’utilizzo di sostanze psicotrope, è solo «una descrizione culturale».
InfinelaRealtàcomediceRemiBoyerèsolo «schiuma,un’increspaturadelmare».
Ineffettiilveroautore,sec’è,restal’uomosensibile,nondormiente,ingradodirielaborare edidaredentrosestessoeasestessoilsensoallavisione.
Come il sapore dell’arancia non esiste se non nell’atto gustativo di chi la assaggia, così il valore della poesia o della visione è negli occhi e nel cuore di ogni lettore.
Questa è l’unica cosa che importa: l’interazione che comprende e che conosce.
Che trasforma il guardare in «vedere».
L’esperienza interna, operativa, non cerebrale che si congiunge, «completa» e decifra l’espressione artistica dell’autore, umano o non umano che sia.
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